Gli occhi di Tyrone Power – Romanzo quantistico su un caso di corruzione di S. P. Garufi Tanteri in 3 puntate. 2 puntata.

Salvatore Paolo Garufi Tanteri

GLI OCCHI DI TYRONE POWER

2 Parte

II

Circa due mesi dopo aver cambiato i mobili della sua casa, all’incirca alla stessa ora, Lucrezio Caro era di nuovo seduto sul pavimento, al buio, nella stessa, identica stanza tornata vuota, tranne il telefono accanto a lui, con in più un quadro appeso alla parete.

Nel dipinto si vedevano le rocce aspre e scure del paesaggio etneo, sopra le quali in diagonale stava scritto:

GLI OCCHI DI TYRONE POWER.

Quella frase era la parte più vistosa, poiché era stata composta con abbondante vernice rossa, tanto da determinare alcune colature di colore, che facevano pensare a certe opere di Schifano.

Il giorno prima i muri erano stati tinteggiati (questa volta di rosa). Infatti, il suo stato d’animo era molto, ma molto diverso, perché con lui ora c’era Anna Nolte…

Che finalmente entrò, con passo lieve…

“Ah, eccoti!” disse Anna, mentre tirava fuori dalla borsetta il pacchetto delle sigarette e l’accendino. “Il camion coi mobili è qui sotto!”

Dopo avere acceso, aprì la finestra:

“C’è un sole magnifico!”

Suonarono alla porta.

“Vado ad aprire” sospirò Lucrezio, alzandosi.

Rientrando, seguito da due facchini che portavano un divano, Lucrezio vide Anna che buttava la cicca dalla finestra.

“Gesto pessimo!” esclamò. “Giorgio lo fa sempre, quando viene qui.”

“Che cosa?”

Lucrezio indicò la finestra:

“Butta le sigarette da là.”

Poi, si rivolse ai due uomini:

“Entrate pure…”

I due posarono il divano in mezzo alla stanza e uscirono, senza dire una parola.

“Chissà se parlano…” si domandò Lucrezio.

E, indicando il divano:

“Forza, sistemiamolo meglio… non addossiamorlo alla parete, però… la libreria la piazzeremo dietro… mia cara, sarà questo il tuo più grande rimorso!”

“Quale?”

“Non odio più i libri!”

Quando il divano occupò lo spazio giusto, Lucrezio tolse il telefono da terra.

“E neppure il telefono mi fa paura!” aggiunse, sedendosi con l’apparecchio in grembo.

Si accomodò meglio e batté la palma sullo spazio accanto a lui, per chiamare Anna.

“Ora ti dirò il mio progetto…” continuò, quando ebbe vicino la donna. “Voglio scrivere un pamphlet apologetico sulla corruzione.”

“Che scemo!”

“Ecco come parla il pregiudizio!”

“Dimmi come parli tu, allora!”

“Certamente! E ti dico che la storia, quella con la esse maiuscola, deve molto alla corruzione, quella con la ci maiuscola! E’ una gran puttana, la storia, ma i figli le vengono bene!… L’arte migliore è nata dalla corruzione. Si disse, ed io ci credo, che dietro il Partenone ci fosse un bel po’ di peculato e la Cupola di San Pietro fu pagata con la vendita delle indulgenze.”

“E poi, ultimamente, da queste parti, la tua amica corruzione ha partorito il nuovo policlinico che stava per distruggerti…”

“E con ciò?”

“Quell’opera d’arte ti ha quasi portato alla demenza!”

“Che vuol dire? Se mi ha fatto male, ora so che mi ha fatto anche bene…”

Entrarono i facchini, portando due poltrone intonate col divano. Silenziosamente, le misero ai lati del divano e uscirono.

“Debbo telefonare a Giorgio” disse Lucrezio.

Poi, guardando il quadro:

“Che c’entreranno mai gli occhi di Tyrone Power con quel paesaggio?”

“E che ti aspettavi da Giorgio?”

“Conoscendolo, direi una roba del genere… Ma, sotto ci sarà qualcosa, ne sono sicuro.”

“E’ un gioco intellettuale, una metafora, insomma!”

Anna guardò il quadro, porgendogli la nuca. “Il titolo discordante con la figurazione ricorda la pittura di René Magritte… Piuttosto, ci vedrei una punta di drammatizzazione… la pietra è così scabra, così apparentemente senza vita… eppure, mantiene la bellezza degli occhi di Tyrone Power!”

Lucrezio le mordicchiò l’orecchio. “E perché, dopo che mi ha mandato il quadro, è sparito dalla circolazione?”

“Per lavoro, probabilmente” rispose Anna, voltandosi e dandogli un veloce bacio sulle labbra.

“No. Sono settimane che su L’Attenzione non trovo articoli suoi.”

“Si sarà voluto prendere una vacanza, sarà caduto nella depressione come te… Che ne so… Eppoi, non è che tu l’abbia cercato molto!”

“In effetti, non l’ho cercato. Da quando preparo l’uscita del tuo giornale trascuro tutti. Anzi, li ho proprio dimenticati… ma, non è da Giorgio dileguarsi così!”

“Beh, morto non è. Si sarebbe saputo.”

Furono distratti dai facchini, che entrarono portando una libreria bassa e lunga. La posarono ed andarono via.

“Sistemiamola” disse Lucrezio, alzandosi.

Mentre sistemavano la libreria alle spalle del divano, Lucrezio fu preso da una certa commozione. “Adesso non ho più paura… Posso rivelarti tutto…”

Anna lo guardò.

“Non fui buttato fuori dalla redazione di L’Attenzione per i miei articoli sugli appalti del nuovo policlinico…” continuò. “Ora posso parlare perché tu hai saputo darmi ben più del lavoro.”

“E’ vero. Se il concetto d’amore esiste, ti ho dato di più.”

“Insomma, ora posso guardare la gente come guardo te: senza aspettarmi una coltellata.”

“Cosa è successo veramente, due mesi fa?”

Lucrezio andò a sedersi sulla poltrona.

“Dammi una sigaretta” disse.

“No. Ma, se vuoi, non fumo neppure io.”

Tornarono i facchini. Uno portava un tappeto arrotolato e l’altro un tavolinetto di legno nero e di cristallo. Disposero il tappeto davanti al divano e sopra vi misero il tavolinetto. Poi, uscirono senza aver detto una sola parola.

“Dunque…” sollecitò Anna.

“Dunque… Chiarisco subito che hanno fatto il tiro a segno su di me… Mi buttarono fuori dal giornale accusandomi di un ammanco di cassa.”

“E come hanno potuto?”

“Per come stavano le cose, hanno potuto, eccome!… Dovevano farlo; anche se io non c’entravo nulla con la scomparsa di quei soldi.”

“Quant’erano?”

“Più di centocinquanta milioni.”

“Mica male!… Chi se li prese?”

“Chi mi diceva che ero l’unico bene della sua vita… Luisa.”

Lucrezio si alzò. Era nervoso, davvero nervoso… L’umiliazione ed il dolore si risvegliavano intatti. Anna mosse le labbra per commentare, ma preferì tacere.

“Da due anni era la mia compagna…” riprese. “Per lei avevo lasciato mia moglie.”

“Non ne parlare, se non te la senti” disse Anna.

“Invece, è meglio che me lo cavi, questo dente… Ormai, il fastidio che doveva darmi l’ho preso tutto.”

“Come vuoi” fece Anna, sottovoce.

“Seppi troppo tardi che Luisa aveva perso la testa proprio per il progettista del policlinico, un certo Mario Galfano.”

“Perché nessuno ti ha mai accusato pubblicamente?”

“E chi doveva farlo? I miei colleghi? Galfano?”

“Perché no, Galfano? I tuoi articoli su L’Attenzione lo mettevano sotto accusa ed erano regolarmente ripresi dalla stampa alternativa della Sicilia… forse Luisa era il suo scudo… Magari una bella dichiarazione pubblica, tipo da che pulpito viene la predica… e ti avrebbe tolto ogni residuo di credibilità… Perché non l’ha fatto?”

“Si vede che gli è bastato il mio licenziamento.”

“Troppo facile.”

A quel punto, Lucrezio decise di dirle ciò che da sempre sospettava:

“Allora può darsi che Luigi Ottinetti, il mio direttore, mi abbia usato come merce di scambio. Io venivo licenziato e Galfano non avrebbe affondato il coltello su L’Attenzione.”

“Non pensi, invece, che in redazione c’era qualche suo amico? Giorgio, per esempio?”

“Forse, ma che se ne faceva? Per le informazioni, gli bastava Luisa, che di me sapeva tutto.”

“Non quadra.”

«Et pourquoi, madame? »

“Manca la solidarietà dei tuoi colleghi… Di Giorgio, soprattutto.”

“Ci fu. Se non mi sputtanarono, è perché i centocinquanta milioni li tirai fuori… Intervenne proprio Giorgio.”

“Giorgio ti diede tutto quel denaro?”

“In parte. Ottanta milioni li avevo già. Disse che, in fondo, pagava un debito… a me era capitato di aiutarlo, qualche volta.”

Lucrezio tornò a sedersi. “Per favore, dammi una sigaretta.”

Anna prese il pacchetto dalla borsa. “Ci vorrebbe un posacenere… Mica possiamo continuare a buttare le cicche dalla finestra!”

Spuntarono i facchini con un complesso stereo e un televisore. Anna posò borsa e pacchetto sul tavolinetto.

“Bene, ecco gli angeli soccorritori!” esclamò. E a loro:

“Posate tutto a terra. Ma, portateci qualcosa che assomigli a un portacenere.”

Uno dei due annuì. Lasciarono il tutto vicino alla porta ed uscirono.

“Che suono avrà la loro voce?” si chiese Lucrezio. “Bah!… Dai, sistemiamo lo stereo!”

Anna indicò un punto. “Il gruppo centrale va messo là, nell’angolo.”

Lucrezio eseguì l’ordine.

“Ora sposta la libreria verso destra… non vedi che è troppo simmetrica al divano?”

Lucrezio spostò la libreria.

“Le casse acustiche devono stare ai due lati della stanza.”

Vennero sistemate le casse, furono inseriti gli spinotti e la spina… e lui si allontanò un po’, per vedere l’effetto generale.

“Apposto!” esclamò. “Ah, il telefono!”

Prese il telefono e lo poggiò sul ripiano della libreria.

Misero il televisore di fronte, lasciandolo per terra, in attesa di comprare il mobiletto adatto. Nel frattempo, i due uomini tornarono e portarono quattro sedie ciascuno. Uno aveva pure un portacenere di plastica e lo diede ad Anna, che lo poggiò sul tavolinetto.

Subito dopo, i due uscirono.

“Manca ancora il vaso di ceramica” concluse Lucrezio, guardandosi intorno. “Però… c’è un bel salto, rispetto a prima!”

Circondò con un braccio le spalle di Anna. “E così la mia stanza cambia ancora… cambia la stanza e cambia il personaggio… Ora, sono un borghese tranquillamente innamorato, che ha comprato l’arredamento in un negozio del centro.”

“Risparmiando tempo, fra l’altro!” confermò Anna. “Ognuno col suo mestiere. Il tuo non è quello di assemblare mobili… come, con gusto discutibile, avevi fatto.”

“L’avevo fatto seguendo il mio stato d’animo d’allora.”

“Era soltanto pazzia… Domani porterò pure dei fiori. Ora, perché non ci fumiamo la nostra sigaretta?”

Gli porse una sigaretta e ne prese una per sé.

Finalmente, accesero.

“Ahhh…” fece Lucrezio.

“Stavi dicendomi di Luisa…”

“Gelosa?”

“Un po’… Dovevi tenerci molto, se ti ha ridotto tanto male!”

“Più che altro, era ormai un’abitudine. Certo è che di lei mi fidavo ciecamente… Conosceva tutti i particolari della mia inchiesta sul policlinico: le mazzette date da Galfano ai politici, il fatto che i titolari della ditta costruttrice erano prestanomi di Galfano, i materiali non corrispondenti a quelli indicati nel capitolato…”

Rientrarono i facchini con un grande vaso di ceramica e un tripode. Lucrezio indicò un punto ed essi sistemarono il vaso.

Poi, egli trasse fuori dal portafogli una banconota da cinquantamila lire.

“Grazie” disse al più vicino, porgendogli la banconota.

“A lei” farfugliò l’uomo.

L’altro salutò toccandosi la visiera del berretto e annuì, mentre col compagno era già sulla porta.

“Hai sentito?” buffoneggiò Lucrezio, sottovoce. “Uno dei due parla!”

“Uno solo!” rise Anna, sottovoce.

“Non si può avere tutto nella vita.”

Ma, evidentemente non avevamo parlato abbastanza sottovoce, perché l’operaio si voltò e gli diede addosso con lo sguardo.

“Non prendertela, amico…” si scusò Lucrezio. “Pensavo che non era male sentirti dir qualcosa… che ne so… magari buongiorno!”

“Ho i miei problemi” rispose.

Lucrezio si sentì mortificato. “Certo… Certo… Scusami, allora!”

“E di che?… Buongiorno, comunque!”

Uscì, chiudendosi delicatamente la porta alle spalle.

“Bingo per lui!” commentò Anna. “Perché non finisci di raccontarmi la tua storia, adesso?”

Lucrezio si grattò il mento, mentre decideva di tornare al vizio del fumo. Accese e riprese il suo racconto:

“I centocinquanta milioni scomparsi mi erano stati affidati per una campagna di solidarietà a favore di un bambino ammalato di leucemia. Li avevo depositati in un conto corrente a nome mio e di Luisa per consegnarli con un semplice assegno. Te l’ho detto… di lei mi fidavo.”

Anna cercò di mascherare il fastidio con uno sguardo ironico. D’altra parte, quel discorso (che, però, andava fatto) spiaceva anche a Lucrezio, che continuò:

“Ciò che non mi va giù è che ci ho rimediato la mia solita figura di cretino… bastò una telefonata di Mario Galfano per mettermi nel sacco…”

“Come, come? Tu e Galfano eravate in contatto?”

“Ci siamo sentiti una volta. Mi chiamò, pare, dalla Liguria. Ma, non ci capii molto… Senza darmi il tempo di riprendermi dallo stupore per la sua telefonata, disse che voleva spedirmi dei documenti, roba sufficiente a far ammanettare molti, anche gente che non conoscevo. Da quel momento cominciarono a demolirmi. Prima ci furono le telefonate anonime. Sapevano tutto di me e minacciavano di mettere in piazza le vergogne… comprese alcune coglionerie con una femme pour la nuit convinta di essere una grande attrice. Dopo, Luisa, inspiegabilmente, cambiò atteggiamento. Prese a rinfacciarmi tradimenti presunti… e quel tradimento vero, anche se ben presto dimenticato.”

“E da chi lo seppe?”

“Non lo so. Probabilmente, da uno dei tanti vermi che popolano questa nostra valle di lacrime!”

“Sentiamo il seguito, allora.”

“Scoprii la nuova relazione di Luisa nella maniera peggiore. In redazione mi chiesero i soldi e in banca non trovai nulla. In compenso, a casa c’era un biglietto, dove Luisa mi comunicava che se n’era andata via. Poi, mi arrivò una telefonata dallo studio legale del professor Artieri… ne sapevo qualcosa, perché un loro praticante convive con la mia ex moglie… penso che parlava Artieri in persona, almeno si presentò così… mi disse che Luisa e Galfano erano partiti insieme… sentii in sottofondo una risatina che mi parve quella di Elisa.”

“E Artieri chi è, di preciso?”

“Un professore universitario, molto addentrato nella politica nazionale… probabilmente, è uno dei pochi che conoscono la città per quella che veramente è… Sospetto che sia l’unico che qui conti più del sindaco… sicuramente comandava su Galfano.”

“Eri arrivato troppo in alto, quindi?”

“Peggio! Ero a piedi scalzi in un nido di vipere… Infatti, poco dopo il telefono prese a squillare decine di volte al giorno… appena rispondevo, riattaccavano.”

“Era Luisa?”

“Quelle telefonate potevano essere un suo messaggio.”

“O, più semplicemente… era la vendetta di Elisa su di te, suo ex marito…”

“No. Uno come Artieri… non si presterebbe a queste minuzie!”

“Forse no… ma, per essere sicuri, bisogna finire l’inchiesta.”

“Già! Troviamo chi ha pagato le bollette del telefono e tutto sarà chiaro.”

Anna fece una smorfia divertita.

“Non è un’idea malvagia” disse. “In ogni caso, il problema da superare è solo nella tua testa… e nel tuo cuore.”

Infatti, Lucrezio non era sicuro d’esser pronto. Per saggiare le sue reazioni, volle entrare nella stanza accanto, quella che fino a quel momento era rimasta chiusa.

Lì c’erano tutti gli oggetti che gli ricordavano Luisa.

“Sono più di due mesi che non apro questa porta…” cominciò a dire.

Si guardò intorno; per un po’, forse a lungo.

“Pare che non m’impressioni più” concluse, sottovoce.

E, con tono più alto:

“D’accordo… Finirò l’inchiesta.”

“Bene” disse precipitosamente Anna.

Gli andò vicino e gli diede un rapido bacio sulle labbra. “Adesso telefona a Giorgio.”

“Che premura c’è?”

“Hai un’idea migliore?”

Le mise una mano fra le gambe. “Ho l’idea migliore… esclusa l’invenzione delle patatine fritte!”